In risposta ad una appassionata sollecitazione dell’amico e collega dott. Michele Lualdi* – in merito all’annosa questione di quanto fosse Freud a un passo dalla “grande scoperta” istologica – propongo alcune mie riflessioni e una breve ricerca, volte alla chiarificazione di alcuni punti essenziali. Nulla che possa definirsi esaustivo: forse soltanto, in una qualche misura, stimolante; nel senso di un invito a ricercare, domandare, porre ancora in questione l’opera di Freud, contestualizzandola nei suoi numerosi nuclei problematici.
Punto di partenza dello scambio tra il sottoscritto e il dott. Lualdi è stata l’analisi di un non troppo noto passaggio freudiano, che qui riporto nella sua interezza e salienza:


“Se ammettiamo che le fibrille del nervo rappresentano altrettante vie di conduzione isolate, ne consegue che tali vie, che nel nervo sono distinte, confluiscono all’interno della cellula nervosa, la quale perciò diventa il punto di partenza di tutte le fibre nervose ad essa connesse (…). Se questa ipotesi venisse confermata, essa ci consentirebbe un bel passo avanti nella fisiologia degli elementi nervosi. Infatti potremmo immaginare che uno stimolo di una certa energia possa vincere l’isolamento delle fibrille, in modo che il nervo conduca l’eccitamento come un tutto unico, e così via.”


Questo passaggio è presente in un lavoro di Freud del 1882 sulle cellule nervose del gambero. Per comprenderne però la peculiarità, bisogna necessariamente fare un piccolo riferimento al contesto scientifico e teorico dell’epoca.
Alla conoscenza della morfologia cellulare avevano dato contributo, all’epoca in cui Freud muove i suoi primi passi di scienziato, l’ideazione di alcuni metodi di colorazione dei tessuti. Uno fra essi, ideato da Camillo Golgi, aveva contribuito all’apertura di una consistente polemica sulla struttura del sistema nervoso in rapporto alla sua funzione. Polemica che aveva visto opporsi, per così dire, il Golgi – secondo il quale l’eccitamento si sarebbe propagato per continuità nei centri grigi senza passare di necessità dai corpi cellulari – a Cajal, sostenitore invece della unità funzionale della cellula nervosa. Per il primo, dunque, il sistema nervoso avrebbe rappresentato una sorta “sincizio” (in istologia, massa protoplasmatica multinucleata formatasi per la riunione secondaria di cellule precedentemente separate) all’interno del quale interpolati vi erano i numerosi nuclei di sostanza grigia (da qui la concezione “reticolare”); per il secondo, invece, i nuclei grigi avrebbero rappresentato stazioni di integrazione strettamente connesse ai processi di ramificazione. Sulla scia degli studi di Cajal, nel 1891, Waldeyer propose la “teoria del neurone” che, come sappiamo, avrebbe definitivamente messo in secondo piano l’impianto “reticolarista”. A complessificare e chiarire gli aspetti della trasmissione dell’impulso nervoso tra le varie cellule, si aggiunge, nel 1897, la scoperta della sinapsi: si passa dunque definitivamente da una concezione reticolare e continua del tessuto nervoso ad una concezione cellulare e discontinua, nella quale l’elemento fisiologico diventa fondamentale per il chiarimento delle complesse alterazioni elettrochimiche alla base dei transiti e della comunicazione interneuronale.
Ma torniamo al passo citato di Freud e alla struttura fibrillare lì posta in essere. Come ho privatamente potuto esporre a Michele Lualdi (e sulla scia di talune argomentazioni di Jones) ero propenso all’interpretazione che vuole esse – le fibrille – intese quali elementi più fini del nervo: se è così, e rileggendo con attenzione il passo di Freud, lo si può ritenere come un tentativo – fisiologicamente esatto – di vedere a questi sotto-elementi come a processi funzionalmente legati. Freud ha certamente avuto modo di studiare numerosi preparati e si deve almeno supporre che, ai suoi occhi esperti, una sezione del nervo lasciasse già all’epoca intravederne la struttura complessa, caratterizzata dalla presenza di numerose membrane avvolgenti i fascicoli, a partire dalla più esterna, che è l’endonevrio. Dal mio punto di vista, è dunque possibile che Freud stesse pensando ai sottoelementi assonali che compongono il nervo come a processi più minuti strettamente dipendenti dal corpo cellulare e non guardasse più ai fasci di fibre, insomma, come a macroelementi distinti con la sola funzione di connettere – in modi all’epoca ancora poco chiari – le masse grigie. L’interpretazione di Lualdi è invece più cauta, e legata alla moderna concezione della struttura interna della cellula; pur condividendo tale cautela, nascono in me delle considerazioni ulteriori. Mi trovo certamente in linea con Lualdi quando propone di considerare la “struttura fibrillare” come un elemento intra-assonico: il pensiero corre dunque di necessità ai microtubuli e ai microfilamenti, elementi fondamentalmente citoscheletrici, dalla funzione supportiva e lungo i quali “viaggiano” molte molecole (anche in senso retrogrado, se consideriamo l’azione dei microtubuli). Una prima domanda però, forse fondamentale, è la seguante: poteva Freud essere a conoscenza di tali strutture microscopiche nel 1882? Non ne sono sicuro.


Così, preso da molti dubbi circa il non chiaro utilizzo del termine “fibrille” nel contesto della concezione reticolare, ho intrapreso una piccola indagine. Intanto di nuovo il contesto che, come si è prima accennato, è quello del reticolarismo. Recuperando alcuni passi di Golgi e di altri si può a ragione sostenere che con “rete fibrillare” essi intendessero proprio l’arborizzazione fine di alcuni processi, distribuiti intorno alle masse grigie in senso continuo e non “contiguo” (contiguità posta in essere, come abbiamo detto, dai neuronisti e ulteriormente approfondita con l’isolamento della sinapsi). Nel corso della breve ricerca mi sono imbattuto, tra l’altro, in un interessante articolo del prof. Stefanelli, già direttore dell’Istituto di Zoologia e Anatomia Comparata dell’Università di Bari. L’articolo – reperibile liberamente in rete – è del 1934, ed offre quindi una visione d’insieme più chiara su certi punti (al tempo stesso esso è abbastanza lontano nel tempo da non poter dar eccessivo adito a interpretazioni “troppo” contemporanee e dunque più consone al nostro modo di guardare a tali questioni). L’articolo si intitola “Neuroni e circuito chiuso”, ne riporto alcuni passaggi:


I primi osservatori furono per la continuità degli elementi nervosi fra di loro. Lo SCHULTZE, seguito dall’HAECKEL, ammise, ma senza poter documentare, che nel cervello e nel midollo spinale non esistessero mai vere terminazioni delle fibrille nervose e che le cellule nervose dovessero considerarsi solo come semplici stazioni di passaggio delle fibrille, originantisi alla periferia. II BEALE più tardi, seguendo lo SCHULTZE, ammise che anche alla periferia non esistessero terminazioni libere ma che le fibre nervose, curvandosi ad ansa, formassero un circuito chiuso.”


Dai punti in grassetto si evince chiaramente che le fibrille, in termini reticolaristi, si originano dalla periferia non come punti liberi ma come processi anastomizzati che passano poi attraverso le cellule, che a loro volta divengono stazioni di passaggio per questi “fascicoletti” (tra l’altro, credo che nemmeno negli anni trenta del novecento fossero noti i microtubuli). Ancora:


“Nel 1871 il GERLACH, mediante un metodo al cloruro d’oro, affermò esistere nella sostanza grigia cerebro-spinale una re t e f i b r i I I are d i f f u s a con I’ufficio di connettere direttamente fra di loro le cellule gangliari dell’asse nervoso. Questa rete si sarebbe originata dall’anastomizzarsi di una miriade di fibrille provenienti dalle estreme ramificazioni protoplasmatiche delle cellule nervose, e avrebbe dato anche origine, per fusione di fasci di fibrille, ad alcuni cilindrassi sensitivi nella midolla spinale.”


Da questo passaggio si evincono alcune cose problematiche: le fibrille originano dalle estreme ramificazioni protoplasmatiche, dunque sono arborizzazioni finali dell’assone (va da sè che suddetti ricercatori non potevano però intendere in questo modo la questione). Poi però si parla di fusione di fasci di fibrille, che danno origine al cilindrasse, cioè all’assone (o al nervo? Anche sull’utilizzo del termine “cilindrasse” sorgono dunque dei quesiti). Qui, in ogni caso, a patto di non intendere l’assone come nervo (cioè un fascio composito), si torna forse alla concezione espressa da Lualdi. Ancora:


E’ col suo metodo d’impregnazione argentica, detto anche della re a z i o ne n e r a , che il GOLGI scopri dei fatti positivi e sempre dimostrabili nei centri nervosi. Contrariamente al GERLACH, egli ammise la ramificazione libera dei prolungamenti protoplasmatici delle cellule nervose, i quali, attaccandosi ai vasi, avrebbero esplicata solo funzione trofica; la rete diffusa (a tre dimensioni) della sostanza grigia si sarebbe originata da fibrille cilindrassili anastomizzate con quelle delle cellule vicine ed avrebbe collegati insieme, come un vero organo, tutti gli elementi del sistema nervoso. II concetto sulla esclusiva azione trofica dei prolungamenti protoplasmatici fu un errore del GOLGI, sul quale egli tanto più insistette in quanto nel 1893 vide detti prolungamenti in rapporto anche con un reticolo neurocheratinico. II DONAGGIO confermò con sua tecnica questo reperto, ma corresse I’errore del GOLGI, dando si azione trofica ai dendriti per i loro rapporti con la rete periferica nevroglica, ma attribuendo loro anche funzione conduttrice come al resto del corpo cellulare, che pure ha rapporti con detta rete pericellulare nevroglica.”


Seguendo queste indicazioni si viene dunque a definire con più precisione la natura di queste fibrille: il primo grassetto dice che i prolungamenti protoplasmatici (fibrille) si attaccano ai vasi e hanno azione trofica; il secondo che le fibrille si anastomizzano con quelle delle cellule vicine (arborizzazione terminale della prima cellula dunque, che si continua nei dendriti della cellula vicina); il terzo parla, di nuovo, di azione trofica dei dendriti.


Dunque, l’idea che mi sono fatto è sostanzialmente di tal fatta: nel contesto del reticolarismo la rete fibrillare è sì rappresentata come una sorta di connettivo, ma la natura approfondita di questi processi non era nota; così che, verosimilmente, le colorazioni dell’epoca potevano dare adito a diverse interpretazioni. Un fascicoletto che mostrasse, presso il suo punto terminale di aggancio col nucleo grigio, una arborizzazione più complessa, poteva lasciar intendere che una intera rete sottostante di supporto fosse implicata nel tener salda una siffatta struttura distribuita; al tempo stesso, credo si ragionasse molto sui reali rapporti tra processi più fini, e loro possibile fusione e de-fusione nei pressi dei punti d’aggancio.
Tornando a Freud, egli propone che nel nervo – dalla funzionalità unitaria – si potessero distinguere delle sottovie fibrillari che, sì – in un’ottica reticolarista – erano da considerarsi come supporti connettivi ma, per Freud, non era da escludere affatto la loro natura “attiva” di veri e propri processi conduttivi. Da qui, per il sottoscritto, l’assoluta modernità dell’intuizione: nervi, fascicoli, arborizzazioni…Freud deduce senza dubbio una natura più complessa del “terreno conduttivo”, dando così adito alla mia – e di altri – interpretazione che lo vedrebbe intento a chiarire una discriminazione più fine – funzionalmente fondata e complessivamente orientata (nel senso della direzione dell’impulso) – degli elementi costitutivi del nervo.


Se ciò è vero dovremmo, sulla scia di Jones e di altri, considerare almeno cautamente l’idea che Freud fosse davvero molto vicino al collegare gli elementi assonali (elementi più fini rispetto al nervo composito) ai corpi cellulari e – per conseguenza – a intendere con più precisione i reali rapporti morfologici alla base della complessa rete nervosa. Di neuroni Freud parlerà apertamente nel 1895, durante la stesura del suo “Progetto”, dunque a distanza di soli quattro anni dalla prima formalizzazione della “dottrina del neurone” ad opera di Waldeyer. In quello scritto, tra l’altro, Freud propone una prima sistemazione del concetto di “sinapsi” (barriera di contatto) che, pur non basata sulla diretta osservazione fisiologica (che si dovrà a Sherrington, nel 1897), rappresenta un moderno tentativo di guardare ad essa come ad un meccanismo fondamentale della regolazione informazionale e strettamente connessa alla modificazione circuitale e al tracciamento mnestico.

Dott. Luigi Merico

*Michele Lualdi è psicologo, psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, esperto in Neuropsicologia e psicologia sperimentale. Dopo numerose esperienze lavorative e formative nell’ambito della neuropsicologia clinica, ad esempio presso l’U.O. di neurologia dell’ASL di Busto Arsizio, oppure ancora la collaborazione con il prof. Bisiach presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Torino, dobbiamo certamente ricordare l’enorme lavoro di ricerca storica, epistemologica e linguistica da egli svolto: Lualdi, oltre ad aver pubblicato numerosi saggi nell’ambito della neuropsicologia e della psicoanalisi clinica, si è dedicato infatti alla traduzione sistematica di alcune opere fondamentali del Freud preanalitico. Ricordiamo ad esempio la raccolta di Scritti del 1887, oppure ancora l’Introduzione critica alla neuropatologia sempre del 1887 e l’opera eccezionalmente impegnativa di traduzione dell’intera trilogia freudiana sulle paralisi cerebrali infantili, opera che, ricordiamo, valse a Freud la fama di autentica autorità scientifica nel campo delle paralisi cerebrali.

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