Chiariamo ora alcune questioni emerse nel precedente articolo qui direttamente consultabile: Che cosa possiamo davvero conoscere? Follia e scienza in Wilfred Bion

Forse però, l’introduzione di concetti quali quello di “funzione alfa” ed “elemento beta” ci consentirà di tratteggiare meglio una teoria del pensiero specificamente bioniana e dire qualcosa sulle caratteristiche di “O”, concetto bioniano effettivamente complesso. In “Apprendere dall’esperienza”[1] Bion tenta una esplicitazione del significato di “funzione” che egli considera come una attività mentale propria di un certo numero di fattori che operano in concordanza: la più importante funzione della personalità, in questo senso, è la funzione alfa, termine di per sé privo di significato ma immaginabile alla stregua di una variabile matematica alla quale si possono attribuire certi valori.[2] Ma a quali “valori” si riferisce Bion? Bisogna innanzitutto intendere la funzione alfa alla stregua di un “elaboratore” che, continuamente, setaccia e filtra le impressioni sensoriali e le emozioni:

“Perché possano essere utilizzabili dai pensieri del sogno, le percezioni di un’esperienza emotiva debbono essere preventivamente elaborate dalla funzione alfa. […] La funzione alfa esegue le sue operazioni su tutte le impressioni sensoriali, quali che siano, e su tutte le emozioni, di qualsiasi genere, che vengono alla coscienza del paziente. Se l’attività della funzione alfa è stata espletata, si producono elementi alfa: essi vengono immagazzinati e rispondono ai requisiti richiesti dai pensieri del sogno. Se invece la funzione alfa è alterata, e quindi inefficiente, le impressioni sensoriali coscienti e le emozioni provate dal paziente restano immodificate: chiamerò questi elementi beta. Mentre gli elementi alfa sono sentiti come fenomeni, gli elementi beta sono avvertiti come cose in sé, con la conseguenza che anche le emozioni assumono i caratteri di oggetti sensibili.[3]

Come si può notare, la funzione alfa opera in continuazione su uno sfondo d’esperienza inarticolato che Bion riconduce alla sensorialità grezza e al  livello proto-emotivo. Il lavoro della funzione alfa produce “elementi alfa” cioè elementi utilizzabili per l’immagazzinamento di una esperienza, per una sua codifica. Potremmo dire, ancora, che la funzione alfa allontana gli sciami sensoriali informi dall’influenza di O, al cui cospetto vige l’inanimato, ricoprendo questi stessi elementi di una “guaina”, per così dire, che permette un loro riconoscimento: grazie a questa trasformazione essi possono essere utilizzati dal pensiero; così gli elementi alfa si condensano, dice Bion, vanno a formare degli agglomerati ordinati sequenzialmente fino a riportare l’aspetto di una “narrazione”. Come si accennava in un precedente articolo: un deterioramento della funzione alfa è strettamente connesso alla proliferazione di elementi indigeriti, senza nome, non codificati: sono i cosiddetti “elementi beta”. Sciami non addomesticati e non alfabetizzati che o sono evacuati a mezzo proiettivo o in qualche modo immagazzinati alla stregua di “scorie” che non consentono un contatto vitale con gli oggetti del mondo e con la nostra stessa personalità. Il condensarsi degli elementi alfa, invece, fa si che venga a costituirsi una “barriera di contatto” fra conscio ed inconscio; essa, cioè, segna il punto di contatto e separazione fra elementi consci ed inconsci e genera distinzione fra loro:

“L’espressione “barriera di contatto” vuole sottolineare l’esistenza di contatto fra conscio ed inconscio ed il passaggio di elementi selezionati dall’uno all’altro. La trasformazione degli elementi da consci ad inconsci e viceversa dipenderà dalla natura della barriera di contatto. […] La natura della barriera di contatto e degli elementi alfa che la compongono, esercitano una diretta influenza sulla memoria in generale e sulle caratteristiche di un determinato ricordo.[4]

Sembra dunque delinearsi la posizione per la quale “O” viene a costituirsi come uno spazio proto-psichico, inarticolato ed entropico, costituente il nodo-svincolo somatopsichico originario in cui, nel mistero assoluto di una trasduzione fondamentale, il pensiero sorge: qui, dunque, psiche e materia non sono ancora differenziate e vige la sfera dell’inanimato, del “senza qualità”. L’elemento beta, in questo senso, a stretto contatto con O, connota la dimensione della “impersonalità”, non nel senso letterale di uno spazio non-personale ma, piuttosto, “destinale”, “non-storico”, “non-articolato”, “collettivo”, laddove l’elemento alfa indica, piuttosto, che il soggetto ha tentato una attribuzione personale all’esperienza e la “rivendica” come “propria”. Anche O, dunque, non può che essere concettualizzata a posteriori, per così dire: e Bion designa proprio il canale emotivo come accesso privilegiato a tale dimensione.

“Quando O interseca la nostra frontiera emotiva e vi produce una impressione della sua presenza, la risposta iniziale è la formazione o la comparsa di un elemento alfa (personale). Esso può proseguire il suo percorso di trasformazione in elementi onirici, barriera di contatto e memoria, oppure essere respinto dalla mente e degradato, post factum, in elementi beta, rimanendo impersonale, non rivendicato e “in giacenza presso l’ufficio postale” della mente. […] Le emozioni sono i veicoli che trasmettono gli elementi beta […]. Il terrore delle emozioni è dovuto alla natura del carico (la Verità assoluta sulla Realtà ultima) che trasportano nella loro stiva, O.[5]

Il “terrore” potrebbe qui essere inteso come la percezione mai del tutto sopita di un lontano nodo-svincolo  “corporeo” che pure connota la nostra esperienza: livello rudimentale e poco articolato di cui, verosimilmente, facciamo esperienza durante le fasi pre-verbali della nostra vita, la cui cura è totalmente affidata alle mani e alle menti di altri significativi. Ancora, dunque, l’elemento beta potrebbe essere inteso come un’impressione sensoriale somatica e rudimentale di emozioni che veicolerebbero O, nella sua pregnanza inarticolata e primitiva, laddove l’elemento alfa è elemento alfabetizzato e prolifera in vista della creazione di significati sempre più ampi e complessi che vengono convogliati presso la barriera di contatto. Sarebbe interessante, come del resto propone Grotstein, tracciare qui un parallelo con le pulsioni di freudiana memoria: le pulsioni, per quanto ancora intersecanti i livelli rudimentali della nostra esperienza, sono già da intendersi come un precipitato somato-psichico che cade sotto l’azione della rimozione; in tal senso potremmo intendere anche gli elementi beta che, nel caso bioniano, sarebbero repressi a causa della loro natura caotica e indifferenziata: essi sono i “non nati” o, in altri termini, “i pensieri in cerca di pensatore”, in attesa cioè di una loro realizzazione nell’esperienza concreta del soggetto.

dr. Luigi Merico


Bibliografia

[1] W. Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando Editore, Roma, 2009

[2] Cfr. Id., cap. 1

[3] Id., p. 27

[4] Id., pp. 41-42

[5] J. S. GROTSTEIN, Un raggio di intensa oscurità. L’eredità di Wilfred Bion, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010, p. 71

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