“Tradizione” – oggi – è vieppiù un simulacro storico, uno spauracchio, entro i cui confini concettuali sguazzano i rimasugli di un “cognitivismo” di sinistra, buono solo per qualche salotto televisivo e per rimbambire ancor più le “eterne” nuove generazioni, contro il cui giovanilismo al servizio del Mercato già bene si era espresso Pasolini. E precisamente, proprio contro questa spazzatura ideologica bisogna opporre resistenza. Infatti, ben altro è “Tradizione”: essa va intesa nel senso della più profonda irradiazione culturale europea, che si esprime nel suo porsi in contrasto critico con la tecnicizzazione della Terra (Heidegger, ma non solo). In tal senso essa è, innanzitutto, Umanismo. Ovvero, lo diciamo ben chiaro a scanso di equivoci: non v’è nulla da recuperare, non ci sono bastioni, ma c’è però, invero, da mettersi in marcia verso le sorgenti dell’Essere, e volgere lo sguardo verso quei pochi “Waldgangeren” che, nelle epoche, seminarono. Essere “conservatori” oggi, al di là delle comode definizioni che affabulano e rimpolpano inesistenti schieramenti politici, significa al contrario sfondare il muro, ovvero comprendere in profondità quali forze collettive si agitano – quali Ombre – e rischiano di incanalare il percorso umano in un’epoca di completa alienazione. Ebbene, le forze progressiste fin qui sprigionatesi sono apertamente in lotta contro l’Umano, e non perché l’Umano sia qualcosa di già da sempre determinato e immutabile – ma perché tali forze prevedono di soppiantare (secondo le regole via via formalizzate dei meccanismi dell’industria, della sorveglianza cognitiva e della accumulazione di potere) ogni possibilità unica, irripetibile – sensorialmente ed emotivamente fondata (Stimmung) – di fare esperienza del mondo. Una tale operazione di “estirpazione” di un siffatto fondamento, lungo la via univoca di una concezione dell’uomo da regolare, al più, alle esigenze della macchinazione globale – un tale rischio, dico, nella salienza delle sue dimensioni attuali e planetarie – mai si era avuto nella storia. L’attacco alla “tradizione” (con le sue attuali propaggini della digitalizzazione totale), come la si suol ancora definire oggi soprattutto negli ambienti più incolti della sinistra, non è dunque, ingenuamente, la sovversione delle catene sociali in vista del miglioramento delle capacità umane di fare esperienza del mondo ma, al contrario, una cupa agenda totalitaria, perché sgancia l’uomo, nella sua totalità di Prospettiva, dalla possibilità di incidere o produrre – in qualunque modo – alternative possibili, essendo esse già ricomprese e schiacciate, come in un tritacarne, all’interno del paradigma della Macchina Totale, della tecnicizzazione assoluta, della spettralizzazione della vita, della deiezione. Contro questa agenda delle forze della sovversione collettiva bisogna certo opporre resistenza. L’uomo in quanto Prospettiva, i Popoli in quanto Prospettiva, la Terra in quanto Prospettiva: tutto ciò richiede di sviluppare innanzitutto i più forti anticorpi contro il materialismo, contro lo scientismo, contro l’ebetismo del calcolo e della Modernità. La difficoltà intrinseca a mantenere tale posizione fu ben espressa da Cioran, e infatti tutto consiste in questo:

“Ingannarsi o perire. In confronto col dramma della lucidità, che miseria le ideologie. Siamo della nostra epoca, e nel contempo le siamo contro.”

È essenziale, aggiungerei, esserle contro.

Dott. Luigi Merico

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